Anche in questa famosa poesia, Pascoli ricorda la tragedia della sua famiglia, quando morì assassinato il padre.
Il poeta ci presenta sua madre che si reca nelle stalle a trovare la cavalla storna che aveva riportato a casa il corpo del marito senza vita. La donna parla all'animale, come se questo potesse capirla; gli chiede anzi di parlare, come se fosse un essere umano. L'accarezza sulla criniera e la cavalla volge il capo verso di lei, attenta, come se ascoltasse.
La donna le parla come a un membro della famiglia, le ricorda l'affiatamento che aveva col suo padrone, le ricorda i figli piccoli rimasti orfani; poi vuole da lei una conferma. La famiglia Pascoli era convinta di sapere chi fosse l'autore del delitto, anche se la giustizia umana non era riuscita, o non aveva voluto trovarlo. La donna interroga la cavalla, che aveva compiuto la pietosa opera di riportare a casa il suo padrone morente, e le sussurra un nome, quel nome, il nome dell'assassino.
Nel silenzio l'animale fa risuonare un alto nitrito, confermando i sospetti della donna e mostrandosi umanamente partecipe al dolore dei suoi padroni.
Questa poesia, famosa per l'aspetto "commovente" del dialogo tra la donna e l'animale, ha forse le sue parti migliori nella descrizione dei silenzi in cui è immersa la stalla nella sera e nei versi che rievocano la natura selvaggia della cavalla e della marina in cui è nata, un ambiente ancora incontaminato, tra gli spruzzi e gli urli del mare che si agita in potenti ondate sotto la spinta del vento. Ecco qualche approfondimento su una delle più famose poesie di Giovanni Pascoli.
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